L’uomo: da causa a soluzione dei problemi climatici

Edward Wilson, della Harvard University, uno dei maggiori esperti di biodiversità al mondo che ha dedicato l’intera vita ad approfondire la conoscenza della straordinaria ricchezza della vita presente sul nostro pianeta, in particolare dell’incredibile mondo delle formiche, ha scritto in uno dei suoi numerosi libri (“L’armonia meravigliosa” pubblicato da Mondadori nel 1999) che: “Poche persone osano dubitare che il genere umano si sia creato un problema di dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo desiderava siamo la prima specie a essere diventata una forza geofisica in grado di alterare il clima della Terra, ruolo precedentemente riservato alla tettonica, alle reazioni cromo sferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci chilometri di diametro che precipitò nello Yucatan, ponendo fine all’era dei rettili sessantacinque milioni di anni fa, i più grandi distruttori della vita siamo noi. Con la sovrappopolazione ci siamo creati il pericolo di finire il cibo e l’acqua. Ci attende dunque una scelta tipicamente faustiana: accettare il nostro comportamento corrosivo e rischioso come prezzo inevitabile della crescita demografica ed economica, oppure rianalizzare noi stessi e andare alla ricerca di una nuova etica ambientale”.

Il grande storico John McNeill della Georgetown University che ha analizzato a fondo la relazione storica esistente tra la specie umana e i sistemi naturali nel suo bellissimo volume “Qualcosa di nuovo sotto il sole. Storia dell’ambiente nel XX secolo” (pubblicato da Einaudi nel 2002), scrive che: “Inconsapevolmente, il genere umano ha sottoposto la Terra a un esperimento non controllato di dimensioni gigantesche. Penso che, con il passare del tempo, questo si rivelerà l’aspetto più importante della storia del XX secolo: più della Seconda guerra mondiale, dell’avvento del comunismo, dell’alfabetizzazione di massa, della diffusione della democrazia, della progressiva emancipazione delle donne”.

La testimonianza di un altro grande biologo, Stephen Palumbi, dell’Università di Stanford, mostra con numerosi esempi eloquenti, come l’intervento della nostra specie stia accelerando i ritmi dell’evoluzione biologica, soprattutto tra le specie con cui viviamo a più stretto contatto: quelle che costituiscono i nostri alimenti e i nostri parassiti.

Palumbi scrive nel suo libro “L’evoluzione esplosiva. Come gli esseri umani provocano rapidi cambiamenti evolutivi” ( Giovanni Fioriti Editore, 2003) : “Il nostro impatto sull’evoluzione è aumentato con i farmaci, con il controllo chimico dei parassiti e la capacità di plasmare l’ambiente fisico e biologico per soddisfare i nostri bisogni. Così, siamo diventati la forza evolutiva più potente della Terra. A parte forse il meteorite che si ritiene abbia provocato l’estinzione dei dinosauri, siamo i migliori candidati a vincere la medaglia d’oro per lo sconquasso planetario, il giorno che sarà considerato ufficialmente uno sport da Olimpiadi”.

Se andiamo a ripercorrere alcune delle grandi tappe dell’insieme delle ricerche scientifiche realizzate per comprendere il nostro impatto sui sistemi naturali, ci rendiamo conto dell’andamento crescente della consapevolezza acquisita dagli studiosi del funzionamento dei sistemi naturali circa l’eccezionale entità dell’impatto della nostra specie e delle conseguenze che tale impatto può provocare al nostro stesso benessere e, persino, alla nostra sopravvivenza come specie.

Già negli anni Cinquanta del secolo scorso (precisamente nel 1955) un’ importante conferenza internazionale svoltasi a Princeton, vide autorevoli scienziati della natura e illustri studiosi di scienze sociali interrogarsi sul ruolo della specie umana nella modificazione della superficie della Terra. Le relazioni e le discussioni presentate in quella sede furono pubblicate in uno straordinario compendio in due volumi di 1.200 pagine (Thomas W.L. jr., a cura di, 1956 “Man’s Role in Changing the Face of the Earth”, University of Chicago Press) che documentano i risultati del primo panel interdisciplinare di scienziati che si sono interrogati sui problemi ambientali provocati dallo sviluppo umano e dalla crescita economica.

Successivamente nel 1957, due grandi scienziati, lo statunitense Roger Revelle (1909-1991), oceanografo e precursore delle scienze del sistema Terra, e l’austriaco Hans Suess (1909-1993), geologo e paleontologo, scrissero un lavoro scientifico per la prestigiosa rivista “Tellus”(il lavoro porta il titolo “Carbon dioxide exchange between atmospheric and ocean and the question of an increase in atmospheric CO2 during the past decades” Tellus 9; 18-27) , in merito allo scambio di anidride carbonica tra atmosfera e oceano e alla questione dell’incremento dell’anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera.

La consapevolezza di un intervento pervasivo e globale dovuto alla pressione umana sui grandi cicli della natura diventava sempre più scientificamente evidente agli occhi dei due grandi scienziati che, proprio in questo lavoro, scrissero una frase destinata a diventare famosa: “Così gli esseri umani stanno compiendo un esperimento di geofisica su larga scala, di un tipo del quale non avrebbe mai potuto effettuarsi in passato.”

Non è certo un compito facile dare conto in maniera esaustiva dell’avvincente percorso che ha caratterizzato la comunità scientifica di tutti coloro che si occupano di indagare i sistemi naturali e gli effetti dell’impatto esercitato su di essi dall’intervento umano né, ovviamente, ho intenzione di farlo nelle poche righe di questo articolo, ma è bene rendersi conto di come ormai l’intera comunità scientifica internazionale esprima fortissime preoccupazioni per lo stato di salute e per le dinamiche naturali degli ecosistemi planetari. Tutto questo dovrebbe richiedere reazioni immediate e concrete da parte del mondo politico ed economico che, invece, appare drammaticamente sempre più assente e inadeguato.

Negli anni ‘80 del secolo scorso si sono andati strutturando autorevolissimi programmi internazionali di ricerca dedicati proprio all’analisi del cosiddetto Global Environmental Change (Gec), il cambiamento globale (in particolare la nascita dell’International Geosphere Biosphere Program -IGBP – vedasi il sito www.igbp.net ) , cioè lo studio della variabilità naturale che causa i continui cambiamenti nei sistemi naturali e l’analisi del ruolo che il nostro intervento ha su di essi (la possibilità, quindi, di discernere la variabilità indotta dall’intervento umano rispetto a quella naturale).

Nel 1991, un anno prima del grande Earth Summit delle Nazioni Unite tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, l’Ecological Society of America (ESA, la più grande società scientifica di ecologia esistente al mondo, vedasi il sito www.esa.org) pubblicava l’interessantissimo rapporto “The Sustainable Biosphere Initiative: an ecological research agenda” (pubblicata sulla prestigiosa rivista “Ecology”) ed elaborata da grandi ecologi come Jane Lubchenko, Harold Mooney, Pamela Matson e Simon Levin, nel quale si indicavano tre grandi priorità di ricerca e cioè i cambiamenti globali, la diversità biologica e i sustainable ecological system, cioè come mantenere sostenibili i sistemi ecologici.

Dal 2001, patrocinati dalla più grande organizzazione scientifica planetaria (l’International Council for Science, Icsu), i grandi programmi di ricerca internazionali, e, cioè, il già citato International Geosphere Biosphere Programme (Igbp), l’International Human Dimensions of Global Environmental Change Programme (Ihdp), il World Climate Research Programme (Wcrp) e l’International Programme on Biodiversity Science (definito Diversitas), nati più o meno tutti nell’arco degli anni Ottanta, si sono riuniti in una straordinaria Earth System Science Partnership (Essp), che cerca di coordinare le ricerche dei migliori scienziati del mondo che si dedicano alle scienze del Sistema Terra e che, da tempo, utilizzano i dati derivanti dai satelliti da telerilevamento, con i loro sensori sempre più raffinati (vedasi il sito www.essp.org) .

Anche nel campo della sistematizzazione dei dati da satellite si è andata formando una grande partnership internazionale, definita Geoss (Global Earth Observation System of Systems, vedasi il sito www.earthobservations.org). Oggi abbiamo i dati e le informazioni necessarie per cambiare decisamente rotta.

Nel 1998 la grande scienziata Jane Lubchenko ha scritto nel suo messaggio come presidente dell’autorevole American Association for the Advancement of Science (AAAS la società scientifica che pubblica la prestigiuosa rivista internazionale “Science”) :” …. Durante gli ultimi decenni la specie umana si è caratterizzata come una nuova forza della natura. Abbiamo modificato i sistemi fisici, chimici e biologici in nuovi modi, ad un tasso elevato di accelerazione e ad una scala spaziale che non ha riscontri precedenti sulla Terra. La specie umana si è avviata ad intraprendere un grande esperimento con il nostro pianeta. Il prodotto di tale esperimento è sconosciuto ma ha profonde implicazioni per tutta la vita sulla Terra.” (“Entering the Century of the Environment” Science 279; 492).

In una sorta di proprio testamento spirituale Stephen Meyer professore di scienze politiche al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), scomparso all’età di 54 anni per un tumore nel 2006, ha scritto pessimisticamente nel suo libro “The End of the World” (pubblicato da MIT Press nel 2006) :” Nei prossimi 100 anni circa più della metà delle specie presenti sulla Terra che rappresentano un quarto dello stock genetico delle piante, potrebbero scomparire per sempre. Le terre emerse e gli oceani continueranno a brulicare di vita, ma costituiranno un assemblaggio di organismi omogenei selezionati in maniera innaturale a causa di una forza fondamentale . noi stessi. Nulla, né le leggi nazionali ed internazionali, né le riserve globali di biodiversità, né gli schemi locali di sostenibilità o, altre fantasie sui paesaggi “selvaggi”, potranno cambiare l’andamento corrente delle cose. L’ampio spettro dell’evoluzione biologica è stato modificato per il prossimo milione di anni. In questo senso la crisi dell’estinzione, la lotta per salvare la composizione, la struttura e l’organizzazione della biodiversità come esiste attualmente, è ormai andata e noi abbiamo perso.”

Oggi le possibilità di uscire da questa drammatica situazione sono state brillantemente delineate da numerosi autorevoli studiosi, molti dei quali ottimi economisti che propongono teoria e prassi per una nuova impostazione economica delle nostre società. Vi suggerisco ancora una volta lo splendido volume di Tim Jackson “Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale” (pubblicato da poco da Edizioni Ambiente), solo per citarne uno.
Come ben sappiamo siamo parte del problema ma possiamo essere, se vogliamo, parte della soluzione del problema.

di Gianfranco Bologna

Fonte: Greenreport.it

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